Determinanti delle differenze regionali nell’intensità delle misure restrittive durante la prima ondata del Covid-19

di Ariannna Tassinari (Max Planck Institute for Social Research, Colonia), Demetrio Panarello, (Università di Bologna), Giorgio Tassinari (Università di Bologna), Ignazio Drudi (Università di Bologna), Fabrizio Alboni (Università di Bologna), Francesco Bagnardi (Europea University Institute, Fiesole) 

Introduzione

Una sfida decisiva che i governi hanno dovuto affrontare nella formulazione delle politiche pubbliche di risposta alla crisi del Covid-19 è stata quella di bilanciare la tensione tra salvaguardia della salute pubblica e difesa dell’attività economica per non compromettere il potenziale di crescita economica e prevenire la diminuzione dell’attività economica, con la conseguente perdita di posti di lavoro e di imprese (Anderson et al., 2020). Uno degli aspetti più importanti all’interno di questa antinomia è la questione della scansione temporale e dell’estensione delle restrizioni sulle attività economiche durante il lockdown. In questo articolo affrontiamo il tema del difficile bilanciamento, fonte di forti tensioni politiche e sociali, tra salvaguardia della salute della popolazione e protezione dell’economia.

All’inizio della cosiddetta prima ondata, nel febbraio-marzo 2020, si sviluppò in molti paesiun intenso dibattito riguardo alle esitazioni dei governi ad attuare un rigido lockdown. Con il declinare della prima ondata (maggio-giugno 2020) il dibattito si sposto sui tempi e sui modi della riapertura. Nell’autunno del 2020 il ciclo chiusure-riaperture iniziò a ripetersi, in un loop di cui non si vede ancora la fine. L’evoluzione e l’intensità del dibattico pubblico e gli scontri politici sul tema lockdown/riaperture e sulla durezza dei lockdown sono state diverse da paese a paese. Un tratto comune è comunque quello di una netta divisione di classe tra le diverse posizioni. In molti paesi le organizzazioni imprenditoriali sono state scettiche (se non apertamente critiche) riguarda implementazione di misure di restrizione severa; l’appoggio degli industriali è venuto solo dopo l’erogazione da parte dei governi di generose misure di supporto.

In generale, sappiamo poco sull’impatto effettivo del posizionamento pubblico del padronato sulle decisioni delle autorità governative. I governi sono stati talvolta accusati sui media di aver capitolato alle pressioni di potenti gruppi economici per accelerare le riaperture (Mania, 2020; UnionNews 2020). Per cercare di chiarire questo problema, il nostro fine in quest’articolo è il seguente: con quale estensione la severità delle misure di contenimento del Covid-19 è stata condizionata dalle pressioni (contrarie) dei poteri economici?

La questione chiama in causa la massiccia letteratura sulle determinanti e sulla severità dei lockdown e delle altre misure non farmaceutiche (Capano et al., 2020; Engler et al., 2021; Ferraresi et al. 2020; Kavakli, 2020; Panarello e Tassinari, 2021; Palejo e Querubin, 2021; Toshkov et al., 2021). Questi contributi mettono in evidenza che la forza e la durata delle risposte non farmaceutiche al Covid-19 possono essere determinate da numerosi fattori tra cui cui l’intensità della pandemia, l’orientamento politico-ideologico del governo, la vicinanza delle elezioni, il grado di sviluppo economico. L’effetto delle pressioni dei gruppi di potere economico sulle decisioni governative durante la pandemia finora non è stata studiata, nonostante i numerosi episodi riportati dai media. Più in particolare, l’eccezionalità della pandemia e la grandissima incertezza ad essa associata potrebbe, anche in modo più sostanziale rispetto a precedenti situazioni di crisi, potrebbe aver modificato i rapporti di forza tra attori sociali a fronte di un crescente potere della scienza istituzionalizzata.  

Per sottoporre a verifica queste ipotesi alternative abbiamo condotto uno studio sul caso italiano, tra i paesi più duramente colpiti durante la prima fase della pandemia. Si verificarono comunque forti differenze regionali sia nella diffusione della pandemia che nella severità delle restrizioni e la pressione dei gruppi economici e delle organizzazioni imprenditoriali sulle autorità regionali affinchè le restrizioni fossero allentate fu frequentemente indicata dalla stampa come una delle principali cause dei ritardi nell’adozione del lockdown e della scoordinata e caotica risposta alla pandemia. 

Per sottoporre a verifica l’ipotesi di un forte condizionamento del padronato sull’adozione di misure restrittive della libertà di movimento abbiamo costruito un indice regionale della severità del lockdown per ogni settimana e abbiamo verificato la sua correlazione sia con l’aspetto strumentale del potere dei gruppi economici sia con l’aspetto strumentale.  Abbiamo considerato anche altri fattori causali come l’intensità pandemica o l’orientamento politico dei governi regionali. I nostri risultati mettono in luce un significativo e forte legame tra la pressione esercitata pubblicamente dalle organizzazioni imprenditoriali contro le misure di contenimento, il che indica senza dubbio il ruolo significativo del “mondo egli affari” nel dare forma alle riposte alla pandemia da parte delle autorità regionali.

Ipotesi di ricerca

Quali sono i fattori che influenzano i governi nel decidere misure più o meno severe? La letteratura disponibile, che tratta per lo più di comparazioni internazionali e mette in evidenza numerosi fattori causali, seppur con risultati talvolta contradditori.

In primo luogo i governi potrebbero modulare l’intensità della risposta non farmaceutica sulla base di parametri oggettivi sull’intensità della crisi, come la diffusione dei contagi o la capacità di cura del sistema sanitario (Pillemer et al. 2015; Toshkov et al., 2021). Un secondo filone di studi ha messo in relazione il ruolo dell’assetto istituzionale (sistemi centralizzati vs. sistemi decentrati). Il risultato mette in evidenza che i sistemi federalisti o fortemente decentrati hanno messo in atto, nel complesso, risposte meno stringenti, a causa delle difficoltà di coordinamento (o addirittura delle relazioni conflittuali) tra autorità centrali e regionali (Ferraresi et al., 2020; Hegele e Schnabel, 2021; Toshkov et al., 2021; Yan et al., 2020). Altre ricerche hanno messo l’accento sull’importanza della cultura politico-ideologica dei governi, mostrando che la risposta è stata più forte nei paesi con un retaggio autoritario. Un ulteriore insieme dei fattori è legato al ciclo elettorale alla “faziosità” dei governi. In generale i governi di destra di impronta populista sono stati più lenti nell’implementazione dei lockdown  (Kavakli, 2020) e questa inclinazione ha avuto anche un impatto non trascurabile sul grado di rispetto individuale delle misure di restrizione (Barbieri e Bonini, 2021; Gadarian et al., 2021). Per quanto attiene al ciclo elettorale i risultati sono contrastanti: Ferraresi et al. (2020) trovano che l’imminenza delle elezioni spinge i governi ad attuare misure molto incisive per poter rivendicare il successo; al contrario Palejo e Querubin (2021) trovano che l’incombenza delle elezioni determini misure meno restrittive.

Inoltre sono state avanzate diverse ipotesi sul legame esistente tra struttura economica e volontà delle autorità politiche di implementare misure di contenimento della pandemia. In generale si ritiene che i paesi più ricchi siano più propensi a scegliere misure più severe, in quanto possiedono i mezzi per compensarne l’impatto negativo sull’economia. L’ultima ipotesi, a cui è legato questo contributo, è l’influenza che sulle decisioni governative hanno le pressioni del mondo degli affari. Questa ipotesi si ricollega ad un filone di letteratura recente, specialmente di origine anglossassone, che vede nel “business power” una delle chiavi che determinano le politiche pubbliche (per es. Culpepper, 2010, 2015, 2021). E’ autoevidente osservare che le misure di lockdown abbiano un impatto negativo sul sistema economico, seppur differenziato da settore a settore (Brodeur et al., 2021). Le organizzazioni padronali, sia nel settore industriale che in quello dei servizi hanno pertanto esercitato una forte pressione contro la messa in atto del lockdown sin dall’alba della pandemia, e sono state assai decise nel richiedere un allentamento delle misure restrittive verso la fine della prima ondata. Ci si aspetta che queste posizioni siano più forti nelle imprese che operano in settori in cui la realizzazione del lavoro a distanza è più difficile o che sono direttamente colpiti dalle chiusure. Meno forti sonos tate le resistenze da parte delle imprese attive nei settori ad alto valore aggiunto (come ad esempio le banche, la finanza, l’ICT) in cui è più facile organizzare il lavoro a distanza.

Di converso esistono molte ragioni per cui i governi siano particolarmente “attenti” alle istanze provenienti dal mondo degli affari. E’ del tutto scontato che le imprese attive nei settori chiave dell’economia, per la loro capacità di generare occupazione e investimenti, siano in grado di esercitare un forte potere strutturale, proprio per la capacità di influenzare l’elettorato dei governi. I gruppi d’affari esercitano anche un forte potere strumentale, sia per le connessioni dirette tra poteri economici e potere politico (finanziamenti, interlocking directorates, etc.), sia per la loro capacità di influenzare  l’opinione pubblica. Occorre comunque sottolineare che alcuni autori (Culpepper, 2015) mettono in evidenza che il “business power”  è più efficace nei periodi di “plain politics” rispetto a quelli di crisi, e su temi che non hanno una forte salienza sull’opionione pubblica. Risulta quindi di interesse cercare di verificare come il “business power” si sia in effetti dispiegato durante la pandemia.  

Perché scegliere l’Italia come caso di studio

L’Italia esemplifica molto bene la dinamica del conflitto politico sull’intensità dei lockdown e sui tempi del loro termini sotto il profilo delle divisioni di classe, e la rende un caso molto interessante per la verifica delle nostre ipotesi.

Il momento di partenza della pandemia in Italia fu il 21 febbraio 2021, quando il primo paziente Covid-19 fu individuato a Codogno. Dopo pochi giorni una zona rossa fu instaurata nella parte meridionale della Provincia di Lodi, ed il 24 febbraio furono chiuse tutte le scuole e le università. La risposta concernente i luoghi di lavoro fu più lenta. La pandemia si diffuse rapidamente e il 9 marzo fu imposto un lockdown generalizzato. Sebbene la maggior parte delle attività commerciali e di quelle implicanti un contatto diretto con il pubblico fossero chiuse, la maggior parte delle delle attività produttive (industria alimentare, farmaceutica, telecomunicazioni) rimase operativa, assomando circa il 50% dei lavoratori dipendenti.

Le associazioni imprenditoriali furono particolarmente attive nell’esprimere la loro opposizione a queste misure. Riportiamo un passaggio da un articolo dell’Associated Press (2020):

“I sindacati e i sindaci alcune città della Lombardia tra le più colpite dalla pandemia ora affermano che la Confindustria, la più potente lobby economica del paese, esercitò un’enorme pressione sulle autorità per resistere alla chiusura, sostenendo che il costo economico sarebbe stato troppo alto in una regione che produce il 21% del PIL. Il 28 febbraio, una settimana dopo lo scoppio dell’epidemia, e dopo che ben più di 100 casi erano stati registrati a Bergamo, la Confindustria locale lanciò una campagna sui social media per rassicurare gli investitori. Essa insisteva sul fatto che la pandemia non era peggiore che altrove e che la produzione non era stata intaccata. Anche dopo che il governo nazionale chiuse tutta la Lombardia il 7 marzo, autorizzò comunque le fabbriche a rimanere aperte, suscitando scioperi spontanei tra i lavoratori.” (nostra traduzione).

I potentati economici continuarono ad esercitare pressioni per il rallentamento del lockdown anche dopo la sua estensione su scala nazionale. A titolo di esempio, nell’aprile del 2020 “Confindustria Nord”, che raggruppa le imprese industriali del Nord, diffuse un documento che diceva:

“ Se le quattro maggiori regioni del nord, che assommano per il 45% del PIL, non trovano il modo di ripartire a breve, il paese corre il rischio di vedere fermarsi il suo motore. Ogni giorno che passa rappresenta un rischio addizionale di non essere capaci di partire di nuovo. Prolungare il lockdown significa continuare a non produrre, a perdere clienti e relazioni internazionali, a non generare profitti, con l’effetto che molte imprese non saranno in grado di pagare i salari il prossimo mese”(Confindustria del Nord).

Dichiarazioni similari furono fatte sulla stampa italiana pressoché quotidianamente. Di converso, i sindacati furono molto attivi nel criticare il governo per non adottare misure sufficentemente restrittive per i luoghi di lavoro. A causa della situazione epidemiologica sempre più deteriorata e con la minaccia di uno sciopero generale da parte dei tre sindacati confederali un lockdown assai più stringente sui luoghi di lavoro fu messo in atto a partire dl 24 aprile, a seguito di un negoziato tripartito. Tuttavia, come ben ricordiamo, numerose imprese rimasero attive anche nei settori “non essenziali” interessati dal lockdown, in quanto autorizzate ad aprire in deroga dalle Prefetture (le cosiddette aperture in deroga) e le autorità regionali emanarono numerose disposizioni in merito alle aperture/chiusure della attività produttive che si affiancarono alle disposizioni nazionali (come sarà illustrato sotto, proprio queste azioni e la loro relazione con il business power costituiscono l’oggetto principale della nostra indagine).

La grande eterogeneità che sussiste tra le Regioni italiane in merito allo sviluppo delle forze produttive e alle strategie di contrasto messe in atto dalle autorità regionali fanno sì che l’analisi del caso italiano richieda un approccio di tipo disaggregato su base territoriale.

Dati e modelli

Per verificare le nostre ipotesi abbiamo sviluppato due modelli di regressione per dati panel  considerando i dati relativi al livello regionale (19 regioni e 2 province autonome) per il periodo che va dal 1 febbraio al 30 giugno 2020, con osservazioni a cadenza settimanale (20 intervalli, per un totale di 440 punti-osservazione). Il data set è stato costruito sulla base di numerose fonti.

La nostra variabile dipendente è un dato originale sulla forza delle restrizioni a livello regionale, che traccia appunto la risposta differenziale rispetto alle misure nazionali dei governi regionali. Abbiamo utilizzato la metodologia di Hale et al, (2020), che sintetizza l’evoluzione delle politiche di risposta alla pandemia. Attraverso la codifica manuale di tutte le disposizioni e le ordinanze regionali, abbiamo elaborato un punteggio di “stringency” per ogni regione per ciascuna settimana. Questo indice originale è costruito un indicatore composito costruito sulla base di diciassette items di base, sintetizzando le politiche non farmaceutiche messe in atto dalle autorità pubbliche (indice di stringency). 

Per esprimere il grado di potere strutturale delle imprese si è utilizzato il peso del settore industriale manifatturiero sul PIL regionale, ed anche il peso del settore alberghi, bar, ristoranti. Per misurare il potere strumentale esercitato dalle organizzazioni imprenditoriali (e dai sindacati) abbiamo fatto ricorso ad una metodologia assai innovativa di text mining applicata ai tweets, per ovviare alla mancanza di indicatori della pressione pubblica esercitata da queste organizzazioni.

A questo fine abbiamo raccolto tutti i tweets emessi nel periodo febbraio-giugno 2020 dalle principali organizzazioni imprenditoriali italiane (Confindustria, CNA, Confcommercio, Confartigianato) e dalle maggiori organizzazioni sindacali (CGIL, CISL, UIL) a livello provinciale. Successivamente per ogni provincia abbiamo isolato i tweets che contenevano parole chiave legate alla pandemia, classificati ulteriormente in tweets positivi e negativi. Il contenuto di ciascun tweet è stato preprocessato secondo le regole dell’analisi testuale (standardizzazione, pulizia del testo, lemmatizzazione, analisi delle  negazioni e degli intensificatori, etc.), mentre la polarità (positiva or negativa)  è stata attribuita ad ciascun tweet comparando i risultati di tre dizionari: Subjectivity Lexicon, NRC Word-Emotion Association Lexicon, e OpeNER Sentiment Lexicon Italian – LMF. Per ogni lexicon, abbiamo usato due algoritmi per calcolare  i punteggi di  positività and negatività: Naive Bayes and SentimentR (quest’ultimo considera le negazioni, gli intensificatori e i de-intensificatori). Per ciascuna delle sei combinazioni abbiamo calcolato la media e la mediana, e il sentiment, positive o negative, è stato attribuito come media delle 36 combinazioni di punteggi. Un orientamento neutro è stato attribuito infine quando il coefficient di variazione era superior a 1,5.. In tal modo, i tweets sono stati classificatiere classified in positivi, negativi, e neutri. 

Abbiamo quindi elaborato due distinti indicatori, per i sindacati e gli imprenditori, ottenuti dividendo i tweets negativi per il totale dei tweets emessi. Questa operazione è stata ripetuta per ciascuna settimana. Dato l’orientamento generale dei due gruppi enucleati, abbiamo interpretato l’indicatore riferito alle organizzazioni imprenditoriali come segnale di una pressione contro i lockdown, l’opposto per le organizzazioni  sindacali.

L’intensità della pandemia è stata misurata con il dato cumulato di decessi per settimana e provincia, standardizzato con la popolazione provinciale (Dipartimento della Protezione Civile, 2020). Per controllare l’impatto e la compliance rispetto alle misure di lockdown messe in atto abbiamo fatto ricorso ai dati messi a disposizione dal Google’s Community Mobility Reports, che esprimono le variazioni della mobilità verso diverse categorie di luoghi rispetto ad un periodo base (indice di mobilità).

Infine, abbiamo considerato alcune variabili strutturali per regione di tipo socio-economico (fonte Istat).

Come già detto, abbiamo elaborato due modelli di regression per dati panel, entrambi aventi l’indice di stringency come variabile  dipendente. Nel primo modello le variabili indipendenti sono date da quattro indicatori in serie storica per ciascuna provincia (decessi cumulati, mobilità Google e i due indici di pressione) e da sei indicatori in cross-section (percentuale di imprese con 10 dipendenti e oltre, tasso di disoccupazione, orientamento politico del governo regionale, fase del ciclo elettorale, occupazione manifatturiera rispetto alla popolazione e occupazione nel settore alberghi, ristorante e bar rispetto alla popolazione). Nel secondo modello abbiamo sostituito alcune variabili strutturali che rappresentano il potere strutturale delle imprese. Tutte le variabili in serie storica sono state inserite con  un anticipo di due settimane rispetto al dato di stringency. Questa scelta permette anche di tenere sotto controlla la posssibile presenza di endogeneità. La stima è stata effettuata utilizzando il metodo GLS ad effetti fissi temporali, per controllare le differenze della variabile dipendente legate al tempo.

Risultati

I risultati dei due modelli stimati sono presentati nella tabella 1. I risultati intermini di varianza spiegata sono eccellenti, con un R2 corretto  in entrambi i casi attorno allo 0,95.Le variabili che risultano significatve sono i decessi  cumulati (con segno positive e quindi conforme alle attese), l’indice di mobilità (con segno negative) e la pressione esercitata dale imprese (con segno negative), oltre alle dummy temporali. Queste ultime variabili esprimono l’evoluzione temporale della pandemia riferita al complesso dell’Italia, e pertanto le tre variabili panel che risultatno significative esprimono l’effetto differenziale sulla stringency in ciascuna regione. Nessuna variabile di contesto risulta significativa, nè nel modello 1 nè nel modello 2.

La variabile che esprime la forza della pandemia resulta la più signifcativa nel determinare la stringency regionale. Dai nostri risultati si evince inoltre che la politica pubblica durante la pandemia è stata forgiata in modo significativo dai rapporti di forza tra le parti sociali, poichè I segni delle due variabili di pressione sono opposti.  La pressione sindacale risulta non significativa. Il segni negatico dell’indice di mobilità può essere razionalizzatoconsiderando che un aumento del tempo passato a casa si traduce in rilassamento della stringency dopo due settimane, in quanto una diminuzione della mobilità dà luogo ad un miglioramento delle condizioni pandemiche. Le variabili strettamente politiche ed economiche non risultano significative.

La stringency risulta perciò governata sia dalla forza della pandemia che dalle reazioni della popolazione, con un ruolo non secondario giocato dall’interazione tra le forze sociali, che vedono prevalere le forze del capitale.

Discussione e conclusioni

La nostra ipotesi sull’importanza del potere strutturale delle imprese come determinante della stringency locale non risulta supportata dai dati. Questo suggerisce che l’intensità della pandemia e le preoccupazioni a breve termine hanno avuto la meglio sui timori di crisi economica legata alla pandemia. Tuttavia questo non implica che il potere economico non abbia avuto un peso nel dare forma alla risposta antipandemica, come mostrano I nostri risultati concernenti il potere strumentale. I governanti locali appaiono assai sensibili alle pressioni del gruppi economici indirizzate ad “addolcire” la risposta antipandemica. E’ importante tener presenti che le associazione imprenditoriali hanno alti livelli di diffusione tra le piccole e medie imprese. Piccole e medie imprese che costituiscoo una componente chiave dell’elettorato di centro-destra, ma che sono importanti per il successo di qualsiasi coalizione elettorale (Bulfone e Tassinari, 2020). 

L’inserimento delle organizzazioni imprenditoriali locali nella fabbrica produttiva dell’economia rende la 

loro collaborazione necessaria per i poteri locali al fine di contrastare la pandemia (Feltrin, 2020), poichè rendono possibile veicolare le decisioni adottate a livello locale. Questa dipendenza dai poteri economici locali rende gli organi regionali più propensi a rispondere positivamente alle loro richieste.

Iin linea, parzialmente, con le analisi presenti in letteratura è il ruolo non significativo delle organizzazioni sindacali, che testimonia della loro declinante influenza sui decisori politici (Culpepper e Regan, 2014; Tassinari e Sacchi, 2019; Rathgeb e Tassinari, 2020). Le ipotesi riguardanti l’assetto politico anch’esse non risultano corroborate.

In conclusione, l’emergenza pandemica ha in parte incrinato il legame tra circoli politici e circoli economici, come dimostra la non esistenza di legami significativi tra strettezza del lockdown e colore politico dei governi regionali. Questa sospensione parziale del “business as usual” non ha portata comunque ad un complete superamento della politica “business as usual” come mostra il ruolo assai significativo del potere strumentale esercita dalle imprese, seppur i suoi effetti siano stati condizionati all’andamento della pandemia. Gli aspetti di classe nella crisi del Covid-19 vengono quindi ulteriormente confermati.

Agosto 2021. Non citare senza autorizzazione

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