l’editoriale di Aldo Tortorella sul numero 3|2021 di Critica Marxista
Il problema non è se debba comandare la politica o la scienza come è apparso e appare più o meno esplicitamente in molte discussioni pubbliche di questi infiniti tempi di pandemia. Il problema è lo stato della cultura politica e quello del sapere scientifico nel tempo presente. E il rapporto dell’una, la politica, e dell’altra, la scienza, con la propria missione.
Nei suoi termini tradizionali la questione del rapporto tra scienza e politica non è cosa nuova, è tema vecchio quanto la civiltà cui apparteniamo, anche se la parola “scienza” non indicava il medesimo oggetto mentale concepito da Galilei in poi. Da allora, come si sa, la scienza ha coinciso con il metodo sperimentale separandosi dalle credenze di fede o dalle ipotesi deduttive di una qualche supposta verità certa esposta in sembianze filosofiche.
Tuttavia è stato lungo il cammino perché il rapporto tra le scienze di fatto e la filosofia (ivi compresa l’etica e la politica) conoscesse una inversione di valori. Il primato del metodo scientifico si affermò solo al tempo della (relativa) egemonia del positivismo, la cui fiducia nel progresso senza soste fu spezzata dalla prima guerra mondiale. Ritornò il primato della riflessione astratta sulle vicende umane, ma tendendo ad assumere veste scientifica, quella, appunto, delle scienze umane, con ampio uso del metodo sperimentale. Una parte rilevante della filosofia si fece analisi del linguaggio. L’economia volle assumere lo statuto di scienza esatta, ignorando, però, la sua origine da un professore di etica.
La politica che non si giovò delle conquiste delle scienze umane, per quanto fossero da discutere, non ebbe fortuna. E la politica che pensò di er- gersi a scienza esatta e definitiva non poteva che generare tragedie (come accadde nel mondo sovietico). Ogni dissenziente dai sacerdoti di quella scienza – divenuta una fede – diventavano eretici da eliminare. Se una corrente politica pretende a uno statuto scientifico è logico l’intervento degli studiosi del metodo scientifico. Per smentire la scientificità del cosiddetto “materialismo dialettico” considerato come formula marxiana e divenuto una sorta di dottrina di Stato nel campo sovietico quale spiegazione certa del mondo e della storia, Karl Popper, marxista pentito, amico fedele di Hayek, liberale, elaborò la dottrina della “falsificabilità” (cioè, per dirla all’ingrosso, non contano le verifiche positive ma il contrario: se un asserto non si presta a essere smentito non è scientifico). Il “materialismo dialettico” non reggeva alla prova e dunque era sgominato anche Marx.